A Parigi. Mi alzo presto al mattino. E nella penombra scrivo. C'è sempre un foglio bianco da riempire. Una storia da scrivere, una vita da immaginare. È la nostra stessa vita, non credi?, un grande foglio bianco da riempire. Lo puoi fare con i passi lenti e ordinati di una calligrafia scolastica, o con la spudorata sfrontatezza di un corsivo furioso. Ma c'è sempre un foglio da riempire. Puoi chiamarti Camus, Sua Eccellenza, o essere talmente ubriaco da non ricordare più il tuo nome; essere giovane o vecchio; uomo o donna, quello che ti pare, per me è indifferente, ma il foglio bianco resta lì, da riempire. E di fronte a un foglio bianco, dimmi tu, chi non ha paura, nemmeno un pochina? Poi, così, all'improvviso, come quando sbatte una finestra che non ricordavi di aver lasciata aperta, ecco che irrompe sulla scena un'immagine. Non sono ancora parole. È un insieme di diapositive che scorre, un film traballante, che ti sorprende perché parla di te. E presa una penna inizi a riempire la pagina.
Anche in fotografia è così. Il mondo è un grande foglio bianco sul quale fermare gli attimi significativi. Quando esco tutto scorre. E cambia, a seconda della luce, della giornata e del mio umore. Come diceva James Douglas Morrison

"Le persone sono strane quando sei uno sconosciuto,
i volti sembrano brutti quando sei solo,
le donne sembrano cattive quando sei indesiderato,
le strade sono irregolari quando sei giù.

Quando sei strano
i volti escono dalla pioggia,
quando sei strano
nessuno ricorda il tuo nome."

Di fronte a questo mondo caduto in mille frammenti, in cui tutto pare a pezzi, il fotografo sta solo sul palco, circondato da attori disorientati, da scene confuse. Poi all'improvviso sbatte una finestra che avevi dimenticato d'aver lasciata aperta. E riesci a vedere una scena. E premuto il pulsante inizi a fotografare. A Parigi.
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